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Ma davvero è sempre colpa delle mamme?


Sento ora più che mai durante le consulenze con le famiglie, il bisogno di un accompagnamento educativo genitoriale: ogni famiglia dopo un primo colloquio si affida a me come professionista per aiutarli nella gestione dei propri figli.


Certo! Non sono una maga, e non ci sono ricette, né strategie uguali per tutti, però molte famiglie ritrovano nel mio percorso una possibilità che li porta a conoscere come funziona un bambino, e come funzioniamo noi adulti, reduci di un’educazione rigida, con castighi e punizioni fisiche e verbali.


Nel percorso “La Valigia Genitoriale” accompagno le famiglie alla conoscenza del funzionamento del cervello del bambino, di come il nostro legame di attaccamento ci può condizionare nell’essere genitori, del ruolo del padre a volte invisibile o nascosto, dei comportamenti da gestire, delle emozioni dei bambini, ecc.


C'è da dire che, se le famiglie fanno questi percorsi di accompagnamento per arrivare ad una maggior consapevolezza e conoscenza di sé stessi, per poter gestire meglio i comportamenti “sbagliati” (per noi) dei bambini, dovrebbe fare altrettanto la Scuola e quindi Educatrici, Maestre, Insegnanti.


Purtroppo ritroviamo che un’alta percentuale di queste figure scolastiche si limita alla sola conoscenza profonda del campo cognitivo per l’apprendimento, lasciando da parte la parte psico-emotiva, relazionale e sociale. Ovviamente, per fortuna, non tutte le figure educanti sono così, ma anzi, ce ne sono molte che sanno “stare” con il bambino.


Molto spesso la maestra pretende che un bambino stia “seduto bene” solo perché deve fare un lavoretto e produrre, ma sappiamo bene che non c'è nessun piacere nel fare un “lavoretto” se non c’è divertimento, gioia, esperienza e conoscenza dei materiali anticipatamente, cioè un gioco di scoperta corporea e manipolativa.


Un altro aspetto che riscontro è che l’adulto educante (educatrici, maestre) conosce poco o mette in pratica ben poco le conoscenze riguardo agli aspetti relazionali, sapendo bene che il modo in cui risponde ai bambini serve a loro come specchio, questo specchio emotivo di cui ci parla Fonagy, con il processo di mentalizzazione.



Mi auguro che questa riflessione arrivi ai cuori e alle menti degli adulti che si occupano quotidianamente dei bambini, al nido e alla scuola dell’infanzia ma anche ai primi gradi della scuola primaria.


Se le famiglie si mettono in gioco facendo dei percorsi personali per rispondere meglio ai bisogni dei propri figli, perché educatrici, maestre e insegnanti non fanno altrettanto? Ci sono dei percorsi personali che portano a lavorare sulla propria consapevolezza e la trasformazione non solo della persona ma anche nel campo professionale.

Per far bene l’educatore è necessario conoscere la propria ombra, guardarsi allo specchio, conoscersi, assumersi le proprie responsabilità e lavorare sul campo personale emotivo-relazionale.

Imparare un po' di gentilezza non farà male a nessuno e forse si smetterà di pensare che è sempre e solo colpa delle mamme.

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