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La sedia del pensiero

È una sedia per pensare?

O è una sedia per accettare la mia incapacità di accogliere?

Più volte in questi giorni, nei Momenti Pedagogici di confronto con i genitori mi hanno riportato episodi dove il protagonista a scuola è “la sedia del pensiero”, "la sedia per riflettere”, "la sedia blu”, "la sedia della calma" ecc. Queste sedie vogliono dare un “time out” al bambino che non ha risposto con il comportamento che l’adulto si aspettava.


Ma questo adulto perché non prova a sedersi lui su questa sedia? Sarebbe opportuno che faccia esperienza di ciò che propone ai bambini.


Lasciatemi dire carissimi educatori, insegnanti, maestri, e anche genitori, che la Pedagogia “nera” come oserei chiamarla è già stata oltrepassata da una pedagogia con modalità di accoglienza e ascolto, dove il vero protagonista è il bambino con la espressività di un sentire proprio.

Quando il bambino ha un comportamento per noi inaccettabile (che non vuol dire che noi adulti abbiamo l’ultima parola) perché non portarlo al “Time In” come spesso cita la mia collega Dott.ssa Silvia Iaccarino? Diamo al bambino uno spazio e un tempo per esprimere la sua emozione. Io come adulto non lo lascio fuori dalla relazione ma, verbalizzando, lo accompagno in questo suo sentire e resto nell’attesa che il bambino voglia comunicare con me in un altro modo.

Per un bambino 0-3 è molto naturale esprimere il suo malessere o la sua disapprovazione a una nostra regola con un mal comportamento il quale può implicare buttarsi a terra, urlare, picchiare i muri ecc.: il suo cervello limbico è ancora in pieno sopravento.


Il compito di noi adulti accogliere questo suo comportamento mantenendo la calma e chiedendo se vuole essere contenuto fisicamente o meno e accettare rispettando la sua risposta.

Per un bambino 3-6 vale lo stesso ragionamento: poiché il suo cervello limbico (emotivo) lavora in pieno. Dunque quale messaggio si aspetta un genitore o un educatore che mette il bambino nella “sedia per pensare”? Che il bambino capisca ragionevolmente ciò che l’adulto impone?


Beh! Non è proprio così.


Un bambino obbligato a sedersi “per pensare” o “per riflettere” ciò che impara è che pensare e riflettere non sia tanto positivo. In più l’allontanamento della relazione fa perdere la fiducia negli adulti. Per non parlare dell’umiliazione che facciamo provare loro.

Pensiamo a cosa sente emotivamente questo bambino che viene allontanato dalla relazione con l’adulto. Quanta solitudine e quanta delusione prova perchè il suo adulto di riferimento lo lascia solo con il suo dolore, con la sua rabbia, con ciò che sente.

Perché non accogliere queste urla e pianti, verbalizzando che tu, adulto, comprendi quanto lui sia arrabbiato, che questo comportamento non ti piace, però che tu sei lì e aspetti che passi questo suo momento per concludere con un abbraccio o semplicemente parlando di ciò che sente nel suo corpo quando si arrabbia?

Molti genitori mi hanno portato la questione in questi giorni e mi sono sentita di scrivere queste parole per essere dalla parte dei bambini. Rispettare il bambino che abbiamo in cura penso sia una priorità. Altrimenti perché non fare un pensiero di aggiornamento e un percorso personale per migliorarsi e rispondere in modo adeguato al bisogno del bambino?


Se avete bisogno di un percorso personale o di una consulenza per il vostro servizio, contattatemi via email.


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